La Paz (Bolivia), ottobre 2003. Si susseguono le manifestazioni popolari contro il presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, detto Goni. La mobilitazione, animata inizialmente dai contadini Aymara, gruppo indigeno, e dagli abitanti di El Alto, sobborgo della capitale epicentro della protesta, ha visto, durante il mese di settembre, la progressiva adesione di studenti e lavoratori.
Si chiedono l’abrogazione delle leggi sulle privatizzazioni e gli investimenti stranieri e le dimissioni del capo del governo e dei suoi più fidati ministri, ritenuti responsabili dell’uccisione di sei persone della comunità Aymata nel corso delle agitazioni organizzate dal Coordinamento Nazionale per la Difesa del Gas. Ma le vittime aumentano.
Tutto nasce dal piano per la costruzione di un gasdotto per portare il gas boliviano negli U.S.A., passando per il Cile, sotto il controllo di un consorzio di multinazionali di Sud Africa, Gran Bretagna, U.S.A. e Argentina.
La protesta scatta a causa del beneficio minimo destinato al paese da questa manovra, ricordando i precedenti dei secoli scorsi. Si fa riferimento all’esportazione di argento, gomma, stagno. Trasferimenti che non hanno portato a una società più equa e prospera. Lo stesso succede con l’esportazione del gas, la maggiore risorsa della Bolivia.
Va ricordato che la Bolivia, dal 1964 al 1982, ha subito una dittatura militare e che, nel 1985, il governo ha operato scelte liberiste, vendendo le miniere di stagno alle multinazionali e privatizzando le industrie statali.
Goni, il presidente Sanchez de Losada eletto nel 2002, ricchissimo imprenditore, autore di durissime repressioni, è sostenuto dagli U.S.A., che annunciano, a più riprese, un fermo intervento in caso di necessità. L’11 ottobre, il Goni invia l’esercito e, per due giorni, le truppe sparano sui manifestanti. Al terzo giorno, i soldati si rifiutano di proseguire il massacro. Il 13 ottobre, dopo 63 vittime e centinaia di feriti, il vice presidente Carlos Mesa ritira l’appoggio al governo.
Il 15 ottobre, il presidente prospetta, senza successo, la possibilità di un referendum. Il 17 annuncia le dimissioni e, furtivamente, lascia il paese, rifugiandosi negli Stati Uniti. Il palazzo del governo è circondato. La protesta ha vinto. Le nuove autorità sono comunitarie.
Nell’ottobre 2005, la carovana Mayaki, proveniente dall’Italia, composta da esponenti politici di sinistra e membri del Consiglio Comunale di Roma, tra cui Monica Cirinnà e Nunzio D’Erme, esprime la solidarietà internazionale, ricevendo la richiesta di aiuto per ottenere l’estradizione di Gonzalo Sanchez de Lozada.
La prima sentenza per i massacri è giunta nel 2011. 72 anni di carcere per sette imputati, capi militari, riconosciuti colpevoli per la morte di 67 persone e il ferimento di altre 500. Goni e gli ex ministri restano latitanti negli U.S.A., in Perù e in Spagna.