Condividiamo il ricordo di Adriano Sofri per la scomparsa del compagno Franco Travaglini
Fino al 2004 era obbligatorio in Italia (per i maschi maggiorenni, e in cambio le femmine ne erano escluse, fino al 2000) il servizio militare, la naja. Con essa, dentro di essa, una riserva privilegiata di disciplina autoritaria, di sessismo, di nonnismo e violenza, di disegni golpisti e di vero fascismo. A contrastarli valsero soprattutto due modi di resistenza: l’obiezione di coscienza, che costò a tanti rigorosi antimilitaristi e pacifisti la galera in fortezza, e l’organizzazione democratica che, in quel regime di disciplina, non poté che essere illegale, benché si svolgesse sempre più francamente alla luce del sole. Si chiamò, questo impegno collettivo di democratizzazione, “Proletari in divisa”, e fu una delle realizzazioni civili più preziose della cosiddetta nuova sinistra degli anni 70. La risposta pubblica di giovani militari in uniforme al colpo di stato in Cile nel settembre del 1973 fu impressionante. Di quella mobilitazione Franco Travaglini fu il principale animatore. È morto ieri mattina, per un’emorragia cerebrale che lo aveva colpito a casa sua, nella campagna umbra, dove viveva da tempo, con la sua compagna Ildico, praticando le idee che sentiva giuste.
Era nato a Pescara nel maggio del ’43 ed era diventato presto bolognese. Per noi, suoi compagni e amici fraterni, la sua famiglia bolognese era stata anche la nostra. Suo padre, Carlo, era stato ferroviere e, nella cantina domestica, abile rilegatore di libri di pregio, e sopra tutto anarchico integerrimo. Sua madre Armida era stata ostetrica e fu sempre una donna fortissima. Nel 1972, da Franco e Mirella, di cui eravamo tutti un po’ innamorati, era nato Michele, e nel daffare travolgente di allora Armida fu il suo rifugio. Franco era stato arrestato presto, come si doveva, prima del Sessantotto, manifestando contro la guerra americana in Vietnam. Poi venne Lotta Continua, il trasferimento a Roma, i Pid, il lavoro al giornale. Alex Langer avrebbe ricordato che quando Lc si sciolse, alla fine del ’76, ritenne “di dover contribuire insieme ad altri, tra i quali Paolo Brogi, Franco Travaglini, Enrico Deaglio, Clemente Manenti, all’‘atterraggio morbido’, per evitare una rovinosa ed inconsulta ritirata o un’altrettanto rovinosa e inconsulta radicalizzazione dei militanti”. (Ora, dei nomi di quella citazione, i vivi sono passati in minoranza). Per l’atterraggio morbido Franco ricavò per sé un impegno appassionato e metodico nella “conversione ecologica”, e specialmente nella riflessione sugli animali, e lo tradusse, senza fanatismi, nel suo personale modo di vita, già leggendariamente sobrio. Sui temi della differenza di genere e di generi, “gli altri animali”, partecipò assiduamente alla breve e intensa vita del supplemento culturale del quotidiano Reporter, Fine secolo (1985-86) e poi regolarmente alla bellissima rivista mensile pubblicata a Forlì, “Una città”.
Dal 1990 fu fondatore e precoce animatore di riviste come “Buono”, “Cucina naturale”, “Bioagricoltura”, e di libri su salute e alimentazione, scritti alcuni con Daniela Garavini. Molte delle più significative manifestazioni ecologiste, come la Fiera delle utopie concrete di Città di Castello, lo ebbero dall’inizio fra i protagonisti. Enrico Deaglio, nei messaggi scambiati ieri, ha scritto: “Ciao Franco, è stato bello passare molti anni con te. Sei stato il mio ‘capo’ e hai salvato la ghirba di tanti di noi, in quel lontano 1977. Amavi la terra, davvero; e quindi si può davvero prevedere che la terra ti sarà lieve. Te lo deve”. C’è stato un dolore speciale ieri alla notizia della morte di Franco. Era grande e forte, aveva una testa leonina, era un uomo buonissimo, un amico su cui contare senza riserve. Ci sono persone di cui non ci si aspetta che muoiano, senza chiedersi perché. Quando succede si resta davvero più soli ancora