E’ l’alba del 15 marzo del 1972, nei pressi di Segrate (Milano), ai piedi di un traliccio dell’alta tensione viene rinvenuto il cadavere di un uomo dilaniato dall’esplosione di un ordigno ed identificato dai documenti trovati sul corpo come Vincenzo Maggioni.
Solo 4 giorni prima a Milano la polizia, per reprimere una manifestazione della sinistra rivoluzionaria contro il raduno della Maggioranza Silenziosa (un nuovo fronte anticomunista che va dai repubblicani ai fascisti della Fenice di Giancarlo Rognoni), compie violentissime cariche che provocano, oltre al ferimento di numerosi compagni, la morte del pensionato Giuseppe Tavecchio, colpito al volto dall’ennesimo candelotto lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo dalla Polizia.
Dopo due giorni dal ritrovamento, lo staff inquirente (il procuratore capo della Repubblica De Peppo, il comandante del gruppo carabinieri colonnello Petrini col maggiore Rossi, il capo dell’ufficio politico della questura Allegra e il commissario Calabresi) comunica ufficialmente che l’uomo sotto il traliccio è l’editore Giangiacomo Feltrinelli.
Giangiacomo Feltrinelli – Traliccio
La stampa reazionaria e riformista accolgono in pieno l’ipotesi dell’attentato andato a male; di seguito l’estratto di un articolo comparso sull’Unità del 17 marzo a firma di Ibio Paolucci:
“ Il personaggio Feltrinelli è legato a storie complesse e non sempre chiare. Su taluni suoi atteggiamenti pseudo-rivoluzionari, improntati ad una logica inaccettabile, abbiamo avuto modo, nel passato, di esprimere il nostro giudizio severo. Ma ora si dice che sarebbe andato a piazzare dinamite sotto un traliccio allo scopo ovvio di alimentare il clima di tensione tanto caro e tanto utile alle forze della destra. Per questo – ripetiamo – la nostra richiesta è che al più presto si faccia luce su questo episodio che, in ogni caso, si inserisce nel clima torbido voluto dalle forze politiche interessate specialmente in periodo elettorale a provocare un’atmosfera di disordine e di confusione nel Paese.”
Di contro la tesi dell’omicidio fu sostenuta, a caldo, da un manifesto, firmato, fra gli altri, da Camilla Cederna ed Eugenio Scalfari, che iniziava con le parole “Giangiacomo Feltrinelli è stato assassinato”.
Comunque fino al marzo del 2012 nessuno più aveva messo in discussione la tesi dell’attentato finito male; nel corso di questi lunghi 40 anni sono cambiate delle cose. Innanzitutto gli atti dell’inchiesta, scannerizzati dal tribunale di Milano e quindi fruibili. Poi, sarebbero emerse perizie, carte, testimonianze, dichiarazioni, evidenze fattuali spuntate nel corso di altri processi. Elementi che portano almeno a sospettare che la morte di Feltrinelli potrebbe non essere stata solo una tragica fatalità, ma un omicidio politico o addirittura una “messa in scena”, tesi quest’ultima mai vagliata sul piano giudiziario. La rilettura di tutti gli atti consente di confrontare le informazioni contenute nell’inchiesta sulla morte: la perizia d’ufficio è stata compiuta in senso unidirezionale, senza vagliare l’ipotesi che Feltrinelli possa essere stato aggredito prima dell’esplosione, legato al traliccio con l’ordigno e fatto saltare. A sostegno di questa tesi e quindi dell’ipotesi dell’omicidio, vi sarebbe una perizia completamente trascurata dalla magistratura e dalle forze dell’ordine, la “relazione di consulenza medico-legale”, redatta dal professor Marrubini e dal professor Fornari (il medico che ha dimostrato che Roberto Calvi non si suicidò, ma fu strangolato e poi appeso al Blackfriar’s bridge). Questo esplosivo documento, mai pubblicato e corredato da foto impressionanti, contesterebbe l’impostazione dei periti d’ufficio. Marrubini e Fornari rilevano una “grave e censurabile carenza di obiettivazioni iniziali” sul momento esatto della morte, la mancanza di “indagini che avrebbero dovuto essere condotte al momento e sul luogo del ritrovamento del cadavere”; la carenza degli “accertamenti che ai periti erano ancora consentiti, ma che comunque non furono praticati”. Inoltre i due periti insisterebbero sulla successione cronologica delle varie lesioni, che non sarebbero tutte ascrivibili all’esplosione ma sarebbero sfalsate nel tempo. Pertanto i due professori scrivono: “viene fatto di domandarci se antecedentemente all’esplosione non fossero intervenute altre violenze, traumatiche o di altra natura”. I due periti rilevano tracce di legacci sui polsi di Feltrinelli. Tra le lesioni non riferibili all’esplosione ce n’è una in sede di encefalo corrispondente al lobo temporale destro. Insomma una cavità orbitale “conciata” come da pugno o percossa. Un’altra ferita inquietante è l’area fratturativi di tipo percolare riscontrata in corrispondenza della rocca petrosa destra, sulla testa. Una lesione riferibile solo a un trauma contusivo di tipo meccanico. Insomma, secondo i due periti Feltrinelli fu aggredito prima dell’esplosione, e smontano pezzo per pezzo l’esito della perizia d’ufficio, sostenendo che l’editore ancora in vita fu vittima di un violento pestaggio e poi fu trasportato vicino a quel traliccio, sul luogo della messa in scena. Dunque Marrubini e Fornari invitano a rivedere i risultati della perizia d’ufficio. Altro inquietante dettaglio, oltre alla cronologia delle ferite, sarebbe quello delle mani dell’editore: nonostante l’esplosione erano pressoché intatte, quasi che Feltrinelli fosse stato legato, con le mani dietro la schiena, alla traversa del traliccio. Se l’editore fosse esploso armeggiando con l’ordigno, le mani avrebbero dovuto essere amputate dallo scoppio o quanto meno dovrebbero essere state maciullate dalla deflagrazione.Nonostante i dubbi sollevati dalla perizia di Marrubini e Fornari, Viola chiuse l’inchiesta senza battere l’ipotesi di un “killing” ben organizzato.
E’ stato infine accertato che le attività di Feltrinelli fossero seguite e controllate dai Servizi Segreti di vari Paesi, tanto che la famiglia Feltrinelli ha acquisito i rapporti della Cia, ormai declassificati, sul loro congiunto dopo la morte. Più di recente si è scoperto che l’ufficiale dei carabinieri incaricato delle indagini sulla morte di Feltrinelli – il maggiore Pietro Rossi – era in realtà l’uomo di collegamento tra l’Arma e il Sid (Servizio Informazioni Difesa) ed era membro del super servizio segreto di marca andreottiana denominato “L’Anello”. Sarebbe stato inviato apposta da Padova a Milano per occuparsi dell’inchiesta su Feltrinelli. Nel 1978 il maggiore Rossi diventerà addirittura capocentro del Sisde a Milano. A più 40 anni dalla morte di Feltrinelli si apprende che i giudici incaricati allora di condurre l’inchiesta sulla morte dell’editore furono cambiati in corsa e che vi sarebbero state addirittura pressioni sulla magistratura inquirente da parte dei carabinieri guidati dal generale Palumbo (il cui nome spunterà poi negli elenchi della P2).
Il magistrato Guido Viola che giovanissimo (all’epoca aveva trent’anni) condusse le indagini sulla morte di Feltrinelli fece una rivelazione pesante: “I carabinieri di via Moscova, guidati dal potentissimo generale Palumbo, il cui nome poi fu scoperto negli elenchi della P2 di Castiglion Fibocchi, fecero pressioni sull’allora procuratore generale di Milano, Enrico De Peppo, un conservatore (lo stesso che chiese che il procedimento sulla strage di Piazza Fontana fosse spostato a Catanzaro per motivi di ordine pubblico) perché il primo magistrato incaricato di indagare sulla morte di Feltrinelli, Antonio Bevere (oggi magistrato di Cassazione) fosse sostituito perché “troppo di sinistra”. Fu così che l’inchiesta finì in mano a me, che ero giovanissimo”. Viola lascia capire che ci furono pesanti interventi: “Io stesso non ero soddisfatto del lavoro dei carabinieri. Poi della vicenda si occupò l’Ufficio politico della questura di Milano. Non so quanto i Servizi abbiano contato, in tutta la vicenda”.
In conclusione, dopo questa riesumazione di documenti così significativi che cosa è successo? Nulla!