Il 15 febbraio 1996 viene approvata la legge n. 66, Norme contro la violenza sessuale.
Con l’abrogazione degli articoli del Codice Rocco, risalente al periodo fascista, che definivano lo stupro delitto contro la moralità pubblica e il buon costume, la legge identifica il reato come delitto contro la persona. Ciò permette alle vittime di costituirsi in giudizio come parte offesa. Inoltre, a differenza della previgente norma, anche gli atti di libidine sono classificati come violenza sessuale. Le pene per gli autori del crimine vanno dai cinque ai dieci anni, dai sei ai dodici nel caso in cui la vittima sia minore di 14 anni e, dai sette ai quattordici, se la violenza è su un minore di 10 anni.
Il Codice Rocco prevedeva una pena minima di tre anni, che consentiva il patteggiamento, la sospensione condizionale, l’esclusione della parte civile e la riabilitazione dopo cinque anni. Il corpo della donna era ipotizzato come proprietà dell’uomo, padre o marito, e come oggetto di scambio. Infatti, la donna aveva come destinazione un uomo, di regola; così era inteso il matrimonio.
L’iter del provvedimento fu lungo e difficile. La prima proposta risale al 1977. Nel 1979 si costituisce un Comitato promotore formato da gruppi e associazioni femministe che, nel 1980, presenta una proposta popolare con 300.000 firme. Successivamente, un progetto nel 1987, un’altra proposta nel 1995. Di fondamentale importanza, il principio che la sessualità è un diritto della persona, che ne è titolare, togliendolo così al patrimonio collettivo del buon costume e a eventuali valutazioni “moralistiche”; la procedibilità a querela irrevocabile entro sei mesi; la riservatezza delle vittime; l’introduzione del reato di stupro di gruppo.
Una delle caratteristiche dello Stato è detenere il monopolio della forza. E’ doveroso sottolineare che la violenza sessuale è, storicamente, violenza di genere ed è rimasta monopolio della famiglia patriarcale anche dopo la formazione della società moderna.
Nel settecento, lo stupro era trattato con indifferenza o indulgenza, specie quando la vittima non apparteneva a una classe sociale elevata. Si dava credito alla tesi della provocazione da parte della donna aggredita che, di conseguenza, diveniva responsabile dell’accaduto.
I primi mutamenti nei giudizi apparvero alla fine XVIII secolo e, lentamente, si affermarono nell’ottocento. Si iniziò a distinguere tra oltraggio e stupro e a considerare l’età della vittima. Ciononostante, le condanne erano poche e le denunce rare, considerando il permanere della disapprovazione sociale verso la donna colpita. Finalmente, nel XX secolo, gradualmente, si comincia a garantire la denunciante e a inquadrare il reato nella reale definizione. L’aumento vertiginoso delle denunce di stupro, dagli anni ’60, è, chiaramente, dovuto a una maggior tutela e rispetto verso le vittime che incoraggia a non nascondere più le violenze subite. Considerando che, ancora oggi, la grande maggioranza degli abusi non viene denunciato, risulta chiaro che il percorso da compiere è ancora lungo.