Il processo ad Aldo Braibanti, il primo e unico condannato per plagio nella storia d’Italia, il solo Paese al mondo a prevedere nel proprio ordinamento giuridico questo reato, è lo specchio di Roma alla metà degli anni ’60. Aldo Braibanti attivo a Firenze durante la Resistenza, viene arrestato e torturato dai Repubblichini della banda Carità, dopo la Liberazione milita nel PCI dal quale si allontanerà nel 1956. Scrittore, poeta, artista, scienziato e sceneggiatore, si trasferisce a Roma nel 1962 con Giovanni Sanfratello di molto più giovane di lui. Il rapporto tra Aldo e Giovanni viene osteggiato dalla famiglia fascista del ragazzo, che arriverà a sequestrarlo e a rinchiuderlo in manicomio. Dopo 15 mesi di ripetuti elettroshock, Giovanni verrà dimesso a condizione di rispettare l’obbligo di dimorare presso i genitori e il divieto di leggere libri scritti meno di 100 anni prima. Il processo lungo 4 anni, dal 1964 al 1968, che pur concludendosi alle porte della grande primavera della contestazione avrà luogo, in una città in larga parte colpevolista, governata da sindaci Democristiani forti di una opinione pubblica conservatrice e clericale che imputerà a Braibanti la colpa di essere intellettuale non ortodosso, comunista, ex-partigiano e omosessuale. Il processo rappresenterà il terreno di scontro del conformismo esasperato dal rifiuto della diversità sessuale con quel nuovo mondo agli inizi di una trasformazione epocale. Aldo verrà condannato definitivamente a 6 anni di reclusione, con poche voci schierate a sua difesa: Moravia, Carmelo Bene, Pasolini, Umberto Eco, Marco Pannella, contro il forcaiolo strapotere mediatico de “Il Tempo”, l’ambiguità di Corriere della Sera e Messaggero e contro i ritardi de “L’Unità”, sempre poco disponibile a sposare la causa dei compagni anti-stalinisti. Nel 1981, il reato di plagio, considerato non accertabile con criteri e metodi scientifici verrà abolito dall’ordinamento giuridico della Repubblica. Aldo Braibanti si è spento in gravi ristrettezze economiche, il 6 aprile del 2014. Ricordare questa vicenda serve a comprendere il messaggio di sopraffazione, ingiustizia e discriminazione contenuta in questa come in centinaia, migliaia di storie simili e si potrà forse meglio intuire l’aspettativa di liberazione riposta nei movimenti giovanili della fine degli anni ’60, una voglia di cambiamento non negoziabile con il potere costituito, che per tutto il decennio successivo influenzerà ogni angolo della società.